Comune di Carrara

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La posizione«Le Alpi Apuane non possiedono città all’infuori di Carrara e - fino a un certo punto - di Massa, la quale, pur essendo al limite tra la pianura e la montagna, è troppo legata a questa per considerarla del tutto marginale. Periferiche (rispetto al massiccio Apuano) sono invece Aulla, Sarzana, Pietrasanta e la stessa Lucca».
Dal brano riportato appare evidente che Carrara, oltre ad essere il solo vero centro urbano compreso totalmente nel bacino delle Apuane, è anche quello più inscindibile dalla storia e dalla somma dei caratteri tipici dell’ «Ambiente Apuano»: non è a caso che le montagne intorno alle quali si sviluppa, storicamente e geograficamente, questo «ambiente», per secoli e secoli vennero chiamate «le montagne di Carrara e di Luni».
La città, ultimo grande centro all’estremo Nord-Ovest della Toscana, è posta al limite della linea geografica dalla quale inizia il Mar Tirreno.
II territorio del Comune di Carrara misura 71 kmq. e si estende, dalle estremità montane al mare, per una larghezza media di 8,940 km. e, da Ovest ad Est, per 3,576 km. Altimetricamente si passa dai 1749 m. del Sagro (che pur avendo la cima in territorio fivizzanese costituisce il tetto naturale della valle carrarese), ai 1320 m. di Campocecina, ai 975 m. della Brugiana, alla vasta e rettilinea spiaggia di Marina.
I confini del Comune sono: ad Ovest la Liguria, tramite il torrente Parmignola e la montagna; a Nord-Ovest il Comune di Fosdinovo; a Nord quello di Fivizzano; ad Est Nord-Est il Comune di Massa, tramite il torrente Lavello e la montagna; a Sud il Mar Tirreno.

Le condizioni fisicheUna fascia di alte colline ravvivate da ulivi e vigne a terrazze (o piane), da vasti castagneti e tappeti di fresca macchia mediterranea; addossate allo sfondo grigio-violaceo di imponenti montagne che appaiono squarciate, ma non deturpate, dalle cave rovescianti a valle fiumi bianchi di detriti (i ravaneti): tutti questi elementi costituiscono l’impareggiabile cornice che circonda Carrara e le sue frazioni, sparse per le alture e al piano. A chi guarda dal litorale, il centro storico non appare, nascosto com’è nella sua conca verde di colline e a diretto contatto, da un lato, con il lembo pedemontano.
Le condizioni fisiche della zona sono estremamente complesse, soprattutto per quel che riguarda le formazioni rocciose, la stratigrafia (successione di terreni depositati durante le ere geologiche) e l’architettonica.
La natura delle colline più prossime a Carrara è simile a quella dell’Appennino, ma è profondamente diversa da quella del Gruppo Apuano di cui fa parte la nostra montagna vera e propria: gruppo che rimane un’entità a sé stante pur avendo in comune, col massiccio appenninico e le colline circostanti, l’origine in ambiente sottomarino (ma in tempi diversi). Come poi questi rilievi siano venuti ad emergere dalle profondità marine è questione che solo in questi ultimi tempi si va sbrogliando in termini più soddisfacenti; le incognite scientifiche al riguardo rimangono, però, numerose.
La varietà dei terreni (rocce) ha come conseguenza primaria, senza parlare di altre cause, un’accentuata diversità nella morfologia della zona la quale presenta, in breve spazio, aspetti assai differenziati.

La fascia collinareI terreni della fascia collinare sono formazioni costituite da strati e banchi di rocce composte da elementi finissimi (limo e argilla) e fini (sabbie) generalmente ben aggregati fra loro, tanto da dar luogo a rocce di diversa composizione e resistenza quali le marne limo-argillose con fratturazione a piccole losanghe e aghiformi, «Galestri», affioranti secondo due frange parallele, da Nicola al Castellaro e dal vallone di Fossola-Fontia al Monticello-La Perla, e poi interrotte dalla copertura alluvionale della Raglia-San Luca. Ai «Galestri» sono da aggiungere le marne più calcarifere, con fratturazione scheggiosa, «Albaresi», affioranti con grande estensione fra Fossone Alto, Santa Lucia, Fossola e, dalla parte opposta della vallata, sul Monticello-Villa Dervillé. Altra formazione della stessa categoria delle precedenti, ma con granulosità ben visibile, è rappresentata dall’arenaria detta «Macigno», che è la più diffusa della fascia collinare fra Monte Bastione (La Spolverina), La Bandita, Moneta, La Fabbrica e Piana Maggio: tutte queste rocce hanno colore grigio-scuro in profondità, mentre in superficie sono giallastre e spesso argillificate per alterazione (macigno). In ultimo sono da citare gli argilloscisti marnosi e calcariferi, rossi e verdi, detti «Scaglie», affioranti, secondo una larga striscia contenuta fra il «Macigno» e le formazioni calcaree al piano della montagna, a partire dalla Maestà di Castelpoggio fino alla Foce, fra Carrara e Massa, passando per Gragnana, Sorgnano, La Padula.

La montagnaI materiali rocciosi della montagna retrostante sono rappresentati principalmente da calcari quasi sempre micro-cristallini, detti calcari «metamorfici», fra i quali principalmente i marmi; oltreché dai calcari detti «tarsi» dolomitici e calcari selciferi, marmi cipollini, etc.
Subordinati, per minore ampiezza di affioramento, sono gli scisti («Piastriccio» di Bedizzano-La Brugiana), del pari metamorfici; oltre a quelli, diversi per origine e composizione, del Verghetto di Colonnata.
Il modellamento operato dalle acque meteoriche, oltre a quello dei meteorili in genere (gelo-disgelo, insolazione) e alle alterazioni d origine chimica, dà luogo, nella fascia collinare, ad una morfologia caratteristica a larghe dorsali ondulate, interrotte da valloni e «vallecole» che incidono versanti notevolmente ripidi ma spesso corretti da piccoli ripiani artificiali detti «Piane», coltivati a vigneto e oliveto, interrotti, qua e là, da boschi di alto fusto (prevalentemente di castagno) e macchia mediterranea, come accennato nella introduzione.
Dietro a tutto ciò, la vigorosa morfologia della montagna contrasta nettamente con quella collinare. Una serie di canaloni ripidissimi aperti fra contrafforti crestiformi e cime frastagliate: ecco come si presenta questa porzione del versante meridionale del Gruppo Apuano, composto da rocce nude, prive di vegetazione, salvo nelle parti più basse. Nel severo profilo contrasta un’ampia depressione rettilinea fra il Borla ed il Sagro, fatto, questo, di particolare significato, come verrà detto più avanti, e dal quale deriva, fra l’altro, uno dei caratteri paesaggistici più evidenti dell’entroterra carrarese.

L´idrografiaIl sistema idrografico è rappresentato da corsi d’acqua brevi, a causa della vicinanza al mare delle alture dalle quali essi scendono. Questi corsi d’acqua sono la Parmignola, il Carrione, il Lavello. Il primo e l’ultimo hanno origine nella fascia collinare e segnano, rispettivamente, il confine tra il Comune di Carrara e quello di Ortonovo (quindi anche fra Toscana e Liguria), e fra Carrara e Massa. Il Carrione è il più importante e il più lungo (12 km.). Nasce dalla regione marmifera ed è alimentato soprattutto da sorgenti, oltreché dagli apporti dei tributari che sono: il Canale di Bedizzano (precisiamo che per «Canale» s’intende una valle profondamente incassata) a sinistra; il Canale di Porcinacchia o di Torano, che riceve a sua volta il Canale di Ravaccione; il Canale di Gragnana: tutti a destra. Altri canali minori scendono più a valle: il Canale di Valenza ed il Canale di Fossola. Il bacino ha una modesta superficie (55 kmq.); nonostante ciò ha portate oscillanti fra i 400 e i 1.000 l/s. A monte della confluenza del Canale di Bedizzano e delle sorgenti delle Canalie, il Carrione rimane quasi completamente secco, salvo dopo i nubifragi, che fortunatamente sono un’eccezione. Pertanto si può affermare che il Carrione propriamente detto ha inizio a Vezzala, alla confluenza con il Canale di Torano, mentre poco a valle, alla Lùngina (detta oggi ufficialmente Lùgnola per italianizzare a tutti i costi un toponimo dialettale che non ne aveva affatto bisogno) riceve il Canale di Gragnana. Sia questo che il Canale di Torano sono alimentati da sorgenti che insieme a quelle delle Canàlie sono in parte utilizzate per il fabbisogno idrico della città.
Il ventaglio di testata del Carrione ha quindi per vertice la conca di Carrara che è, in sostanza, una varice a monte del restringimento vallivo di San Ceccardo o della Fabbrica. Da questa località, situata alla periferia del centro storico, la valle, a fondo piatto e colmata da sedimenti alluvionali di varia natura, si allarga sempre di più fino al proprio sbocco nella piana costiera, fra il Monticello ed il Castellaro: sbocco che costituisce la più ampia interruzione nell’intera fascia collinare. Tale sbocco è caratterizzato da un vasto cono di deiezione, rilevabile, peraltro, solo dalla cartografia topografica a causa della debole inclinazione della generatrice. I depositi alluvionali di cui è composto il cono suddetto poggiano, almeno in parte, su sedimenti dell’antico estuario della Magra che, nel passato, fu enormemente più vasto di quello attuale; per il resto essi poggiano su sabbie marine. Tuttavia è possibile (e forse probabile) che, ad una certa profondità, al di sotto delle sabbie, si trovino i depositi alluvionali di un antico o paleo-Carrione il cui livello di base corrispondeva a quello marino nel periodo dell’ultima grande glaciazione, situato a parecchie decine di metri più in basso rispetto a quello attuale.
L’evoluzione del profilo del corso d’acqua medesimo, per quanto lo consentano le incomplete informazioni che si possono ricavare sul terreno, sembrerebbe legata più a fattori climatici che orogenetici, senza escludere questi ultimi, almeno in tempi relativamente vicini a noi. Infatti le tracce del passaggio dei corsi d’acqua del ventaglio di testata si trovano, sotto forma di lembi terrazzati, sui fianchi dei rispettivi solchi di erosione, a quote abbastanza superiori rispetto a quelle dell’attuale alveo, degradanti sensibilmente verso mare. È utile ricordare, a questo punto, che viene detto «Terrazzo» il lembo di deposito alluvionale inciso dallo stesso corso d’acqua che lo ha accumulato: in tal modo il materiale che rimane in destra o in sinistra, o in entrambi i versanti, rappresenta, appunto, il «terrazzo». Il dislivello esistente tra la sommità (pianeggiante) di questo deposito e l’àlveo può assumere valori molto importanti, soprattutto nel caso in cui il terreno (la roccia) sul quale poggia venga profondamente inciso. In generale, trattandosi, come nel caso di cui si parla, di sedimenti di ciottolame calcareo, le acque «carbonatiche» circolanti depositano calcare e cementano fortemente il ciottolame stesso, che passa da formazione sciolta a conglomerato assai resistente.

Le condizioni climaticheIl clima è determinato, oltreché dalla latitudine, dalla presenza del mare, dalla vicinanza e dall’orientamento della catena montuosa e delle valli. Infatti tale catena, parallela alla costa, è una valida difesa contro i venti freddi dei quadrati settentrionali, mentre quelli dei quadrati opposti contribuiscono, in genere, a rendere piuttosto mite la stagione invernale. In estate le brezze temperate del Mediterraneo smorzano alquanto la calura propria della stagione. La neve scende raramente al di sotto della quota mt.500 ed è eccezionale che ricopra la città. Per contro le piogge sono piuttosto abbondanti, come, del resto, nella vicina Liguria. Si hanno infatti circa 1.500 mm. in media con rapido aumento nelle vallate montane, essendo le piogge legate alla condensazione del vapore di cui sono carichi i venti meridionali, contro le pareti fredde della montagna, dal tardo autunno all’inizio della primavera. In annate eccezionali si possono verificare veri nubifragi che, se estesi all’intero bacino, provocano lo straripamento dei tributari, ma più raramente (con periodo forse secolare) dello stesso Carrione. Allagamenti della conca di Carrara e nella bassa valle sono avvenuti con frequenza maggiore, ma sono dovuti al superamento della portata della rete di fognatura, non sempre libera da ostruzioni. D’altra parte la pendenza verso valle della superficie del terrazzo riesce a smaltire rapidamente questi momentanei allagamenti.

La flora e la vegetazioneL’azione dell’uomo sul territorio del Comune di Carrara è ormai millenaria e si manifesta con insediamenti umani e colture agricole nella pianura costiera e nelle colline; con pascoli e con cave di marmo a quote superiori. Si penserebbe allora che nulla sia rimasto della flora e della vegetazione primitiva, ma ancora esistono lembi di boschi antichissimi e piante rare che attirano gli studiosi di diverse parti del mondo.
La pianura costiera carrarese fa parte della pianura estesa da Bocca di Magra alla foce dell’Arno. Ha avuto origine nell’Era Quaternaria da materiale eroso e trasportato da ghiacciai e fiumi nel fondo del Tirreno ai piedi delle Alpi Apuane, che erano emerse nell’Era precedente. Nel tratto del Comune di Carrara la pianura costiera non presenta più lembi di vegetazione boschiva che invece ritroviamo ancora ai Ronchi di Marina di Massa e in Versilia, ma tali boschi potrebbero ritornare se l’uomo abbandonasse la pianura costiera e, meglio ancora, se indirizzasse la vegetazione al suo clima, che è di bosco di ambienti umidi (con ontani, pioppi bianchi, farnie, salici) negli acquitrini (lame) e di bosco di ambienti più asciutti (con lecci, carpini, olmi, aceri) nei terreni sopraelevati anche di poco. Boschi del genere potrebbero estendersi dal mare fino ai piedi delle colline sovrastanti la pianura costiera.
Dal punto di vista geologico le colline che sovrastano la pianura costiera carrarese fanno parte della falda di ricoprimento toscana (col macigno delle colline di Candia e delle colline di Moneta) e della falda di ricoprimento delle «liguridi» (con i calcari marnosi della collina di Fontia). Prima dell’intervento dell’uomo tali colline erano coperte da boschi sempre verdi, mediterranei, con pinete a pino marittimo e piante che l’accompagnano (cisti, eriche, corbezzoli, ginestroni) sul macigno; con lecci, ginestre, lentischi, viburni, vitalbe sui terreni di calcare marnoso. Attualmente le pinete sono state in gran parte distrutte e sostituite da vigneti terrazzati, mentre le leccete sono state sostituite dagli ulivi. Si manifesta anche qua il fenomeno che si osserva in tutte le colline della Versilia (da Sarzana fin quasi a Lucca): l’uomo ha provato la coltura a vigneto in tutte le colline, ma essa è riuscita solo in quelle silicee, mentre ha dovuto ripiegare alla coltura dell’ulivo nelle colline calcaree e nelle rupi più sterili. Nelle colline carraresi la vegetazione attualmente varia, notevolmente, con l’esposizione: così nel versante sud di un costone si osserva di regola uliveto o vigneto, nel versante nord pineta o castagneto.
Sopra all’orizzonte delle pinete e leccete mediterranee abbiamo estesi i querceto-carpineti, i cerreti, i castagneti. I querceto-carpineti sono in gran parte distrutti dall’uomo con le cave di marmo, ne restano lembi nei versanti nord di terreni calcarei (i più estesi si trovano fra Gragnana e Castelpoggio), mentre nei versanti a sud, querce, carpini, frassini, formano una vegetazione di arbusti sparsi qua e là e separati da rupi o pratelli. È su queste rupi che il botanico va alla ricerca di interessanti piante rare (Globularia incanescens, Santolina pinnata, Rhamnus glaucophylla, Centaurea rupestris var. arachnoidea, Buphtalmum flexile). Nei bacini marmiferi dove più numerose sono le cave di marmo con i loro estesi ravaneti non sono rari i roccioni calcarei, e non di marmo, che emergono non ancora toccati dall’uomo e abitati da tutte queste piante (un esempio sono le rupi dei dintorni dei Ponti di Vara). Cerreti estesi si osservano fra Castelpoggio e la Maestà di Campocecina. La preferenza del cerro per la roccia silicea si manifesta qua per il macigno, che è la roccia madre di questi boschi. Le piante che accompagnano il cerro sono il carpino nero, il carpino bianco, alcuni aceri, l’orniello, il nocciolo fra gli alberi; il biancospino, il maggiociondolo, il prugnolo fra gli arbusti; l’edera, la vitalba, il rovo fra le liane; il brugo e piccole ginestre fra le suffruticose. Alcuni cerreti sono stati in passato distrutti dall’uomo e trasformati in castagneti da frutta, attualmente in gran parte abbandonati o trasformati in cedui. Le piante che accompagnano il castagno sono le stesse che ritroviamo nei cerreti; i castagneti stessi, abbandonati, tendono a ritornare cerreti. Si deve però notare che nei dintorni di Carrara i castagneti sono poco estesi (nelle pendici occidentali della Brugiana, fra Sorgnano e Castelpoggio) perché poco estese sono le rocce silicee richieste dal castagno. Solo in stazioni limitate il castagno vegeta su detriti calcarei (in alcune di Codena e di Bergiola Foscalina), quando il terreno è dilavato dalla piogge, che cadono abbondanti sulle Alpi Apuane, e quasi privo di ioni calcio, incompatibili con le esigenze del castagno.
Querceto-carpineti, cerreti e castagneti vegetano sia sulla falda di ricoprimento toscana che sui terreni autoctoni apuani, altrettanto l’orizzonte superiore del faggio, che è compreso fra le quote 900 e 1600 m. circa. Bei boschi di faggio si trovano però solo nella zona di Campocecina, con faggi in prevalenza cedui, ma anche con qualche albero secolare. Le piante che accompagnano di regola il faggio vegetano qua frequenti (Oxalis acetosella, Prenanthes purpurea, Asperula odorata, Neotia nidusavis, Dentaria bulbifera, Lamium luteum, Stellaria nemorum, Geranium nodosum, Anemone nemorosa). Nei bacini marmiferi i faggi sono stati usati dall’uomo in passato per lizzare il marmo e attualmente crescono, qua e là, in cespugli, su rupi quasi nude e abitate soltanto dalle piante rare apuane. Nelle pendici del Monte Sagro le faggete sono state distrutte e trasformate in pascoli, con liscioni, spuntoni e detriti che affiorano fra prati con graminacee (Brachypodium pinnatum, Sesleria tenuifolia), alcune carici (Carex macrolepis, Carex macrostachys, Carex sempervirens) e alcune leguminose (Lotus corniculatus, Astragalus monspessulanus, Anthyllis vulneraria).
Sopra all’orizzonte del faggio nelle Alpi Apuane troviamo la vegetazione delle vette (vegetazione ipsofila), che nel territorio di Carrara si estende nelle pendici del Monte Sagro a quota superiore ai 1600 metri circa. Il monte Sagro, col suo basamento di marmo e con la vetta di calcare a liste di selce (calcare sopra al marmo), fa parte dei terreni autoctoni apuani. La vegetazione ipsofila cambia con l’esposizione, con la disposizione in parete e in cenge; meglio conservata è quella della parete nord e dello spigolo est, dove numerose sono le piante rare apuane: Salix crataegifolia, Saxifraga lingullata, Silene lanuginosa, sono le più vistose e abbondanti, ma sono frequenti anche Arenaria bertolonii, Aquilegia pyrenaica var. bertolonii, Anemone alpina var. millefoliata, Veronica aphylla var. longistyla, Valeriana saxatilis, Bellidistrum michelii; frequenti sono anche alcune specie che di solito vegetano nelle pareti silicee come Saxifraga aizoon, Saxifraga autunnalis var. atrorubens, Saxifraga oppositifolia var. latina, Alchemilla alpina. Alcune di queste piante ipsofile sono arrivate sulle Apuane dalle Alpi in tempi antichi, altre dall’Asia Minore e dalla Grecia in tempi antichissimi.

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mercoledì 26 febbraio 2014

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